Rossana Roberti: poesia al femminile

di Luciano Aguzzi

 

  1. Biografia: cronache dell’esistere.

Rossana Roberti è una poetessa relativamente nota a Fano, dove è nata e dove ora vive, e a Modena, dove ha vissuto per circa 35 anni, mentre è quasi sconosciuta a livello nazionale, pur avendo ottenuto diversi premi di prestigio e giudizi favorevoli di critici e letterati importanti.

È nata il 14 agosto 1937 da una famiglia benestante. Il padre era un piccolo imprenditore edile, che la figlia, in una poesia, definisce «cementista», perché specializzato in lavori in cemento armato, in strade, barriere di protezione, mura di contenimento e manufatti analoghi. La madre era casalinga. Della sua infanzia non sappiamo nulla se non ciò che lei ci racconta, per pochi cenni, nelle sue poesie e in altri scritti, ma pare che abbia vissuto un rapporto molto duro con una madre anaffettiva e questa mancanza d’amore ne ha segnato per sempre la vita. Non sappiamo in che termini ciò sia una realtà oggettiva, o una realtà soggettiva vissuta da Rossana e poi a suo modo rielaborata e raccontata. Ne vedremo comunque gli aspetti maggiori leggendo le sue poesie.

Si è laureata in giurisprudenza a Bologna il 31 dicembre 1962 e subito dopo si è trasferita a Milano dove ha lavorato presso un’agenzia assicurativa. Aveva da diversi anni una relazione sentimentale con lo scrittore fanese Giuseppe Bonura, pure lui trasferitosi a Milano agli inizi degli anni Sessanta. La relazione però ebbe termine nel corso del 1963 e di essa ci resta la raccolta di versi Tempodamore, che Rossana pubblicò nel 1968.

Dopo la ferita di essere cresciuta senza l’amore della madre, Rossana subiva una seconda ferita destinata a perdurare nel tempo. La fine di un amore, di un amore però che per lei non è mai davvero finito e che resta nel ricordo come un periodo felice, uno dei pochi della sua vita. I due scrittori resteranno amici e complici letterari.

Rossana torna a Fano, poi, nel 1966, si sposa con Nicola e si trasferisce a Modena. Intanto coltiva la sua ricerca letteraria, si iscrive a lettere all’Università di Urbino, sostiene alcuni esami e segue corsi di docenti come Mario Petrucciani e Luciano Anceschi, ma non arriva a prendere una seconda laurea.

A Modena nel novembre 1968 pubblica Tempodamore, lavora per alcuni anni come copywriter in un’agenzia pubblicitaria, lavoro che è pure un esercizio continuo sull’uso delle parole; poi, man mano che si inserisce nella vita culturale della città, vi partecipa attivamente, perseguendo una nuova cultura delle donne; fa proprie alcune tematiche della cultura di genere allora molto dibattuta ed è fra le protagoniste del Gruppo di Poesia della Casa delle donne di Modena. Collabora con ATER (Associazione Teatri Emilia Romagna), occupandosi in particolare di teatro per ragazzi. Collabora inoltre con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Modena per il quale tiene corsi e cicli di conferenze su temi di cultura femminile (“Mettere al mondo”, “Il femminile nella cultura dell’Occidente” ecc.).

Nel rapporto di «sorellanza» con le «poete» del gruppo, di amicizia e solidarietà con altre donne, e nella ricerca della parola poetica, Rossana Roberti trova la sua ragion di vivere come persona, come donna, come intellettuale e poetessa. Non può definirsi femminista in senso stretto, o perlomeno nella sua attività manca l’aspetto politico e di rivendicazione pratica, antimaschilista. Il suo è piuttosto un femminismo che mira al recupero culturale delle ragioni delle donne e che si esprime anche in una teoria della storia e della lingua viste dalla parte delle donne, senza tuttavia sottrarsi, nella vita quotidiana, alla lamentata servitù rispetto al maschio.

Queste problematiche, nel loro risvolto personale e sociale e nel dissidio che si crea fra l’esistere quotidiano, che è visto come un esistere servile, racchiuso nella casalinghità, e l’essere, che è invece il mondo di ciò che ci si sente interiormente di essere, il mondo della libertà, della parità, del sogno e della poesia, si riflettono sulla sua produzione letteraria che si concentra nel recupero della parola, della parola femminile, fuori dagli schemi del dominio maschile.

Lo si vede nelle raccolte di poesie Neppure il sogno (Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1983), L’estraneo e l’indicibile (in Vi son frecce, Ancona, Il Lavoro Editoriale, 1989), che è la più teorica e programmatica delle sue raccolte, contenuta in un’antologia delle poetesse della Casa della Donna di Modena. Nel frattempo pubblica anche un volumetto di racconti per bambini nati dalla sua attività con il teatro per ragazzi: Otto storie per un bambino di bronzo (Modena, Edizioni Teic, 1984).

Nel 2003 pubblica la raccolta di versi Maternale (1992-1994) (Castel Maggiore – Bologna, Book Editore, 2003), poemetto dove è narrato il rapporto con la madre. Nel 2007 segue una nuova raccolta, La misura e l’uvetta (Udine, DARS, 2007). Si tratta di pubblicazioni esili segno di un’attività intensa come tensione emozionale e intellettuale, ma rarefatta come quantità, almeno in termini di pubblicazioni.

Rossana Roberti non sembra aver trovato quella lingua femminile che cerca per dare la parola alle donne. I vari tentativi sono, come emerge dalle sue stesse parole, dei compromessi. Le donne restano sostanzialmente mute e, quando parlano, parlano con la lingua del potere, con la lingua del logos ordinatore, con la lingua maschile.

Il dissidio interno al mondo femminile rimane, nonostante gli indubbi passi avanti dell’emancipazione delle donne. Rimane perché le donne sono schiacciate da millenni di cultura maschile, tanto che è difficile persino immaginare un mondo al femminile, dove i sogni delle donne siano accolti con lo stesso rispetto di quelli degli uomini. Anche da qui nasce la difficoltà di Rossana Roberti a scrivere e pubblicare. Dal 2007 al 2014 pubblica solo poche poesie sparse su antologie e riviste e alcuni scritti critici, articoli con i quali interviene nel dibattito sulla poesia al femminile.

Ma nel corso di questi decenni anche la sua situazione personale è mutata. Dopo la morte del fratello Lorenzo rimane figlia unica e, nonostante le idee femministe, in linea con il modello tradizionale della donna dedita con abnegazione alla cura dei familiari, si prende cura, per molti anni, del padre e della madre invecchiati e ormai del tutto invalidi. E poi anche del marito, anche lui ammalatosi, dopo la pensione e il ritorno a Fano, nel 2007.

La sua vita quotidiana si chiude ancora di più all’interno della casa, dei doveri domestici, della cura dei familiari e, pur senza smettere di scrivere e di partecipare, per quel che può, alla vita culturale della città di Fano, e in parte anche di Modena, dove ha mantenuto diversi contatti, il suo sogno di dedicarsi prevalentemente alla scrittura si allontana piuttosto che avvicinarsi, dandole un senso di sconfitta e di insoddisfazione che, forse, contribuisce ad aggravare i suoi stessi malanni che, con gli anni, crescono insidiosi e fastidiosi.

Rossana, che non ha avuto figli propri, ha inoltre preso in affido una ragazzina difficile e l’ha guidata fino all’età adulta e all’indipendenza raggiunta con il lavoro e il matrimonio.

Tuttavia, dopo la morte della madre e la riappacificazione con lei nel ricordo e nella poesia, la sua scrittura perde i toni più esasperati della precedente ricerca al femminile e l’ultima raccolta pubblicata, Meraviglie del viaggio. Tempodamore – Piccole meraviglie del viaggio (Castelfranco Emilia – Modena, Edizioni Rossopietra, 2014), recupera nella prima parte Tempodamore il ricordo di quel primo e forse unico vero amore da lei vissuto, e nella seconda parte si apre a una poesia pittorica, di descrizioni e di ricordi, nel complesso abbastanza serena e tale da rappresentare una fase nuova rispetto alle raccolte precedenti.

 

  1. Biografia: cronache dell’essere.

Da questo scarno profilo biografico e dal piccolo volume delle sue pubblicazioni dobbiamo ora trarre la vera biografia di Rossana Roberti, quella espressa attraverso la poesia. Quella, per intenderci, che lei chiama «l’altra da me», quella che si contrappone alla parte di sé che vive nella quotidianità della casalinga e dei doveri sociali di una signora per bene che abita al quinto piano.

Introduciamo questo discorso utilizzando la lettura della prima poesia del poemetto Maternale, sul quale, nel suo complesso, torneremo fra poco. Si rivolge alla madre con una serie di secche e crude apostrofi. Le strofe iniziano tutte con attribuzioni negative alla genitrice: «Madre di legno […] / madre di ferro […] / madre Sade […] / madre kapò» per concludersi con l’accusa più acerba: «madre / per un piatto di lenticchie hai venduto una figlia / m’hai ridotto / una cipolla costretta a germogliare / fuor di terra» (Maternale, pp. 7-9).

In questa poesia che uso come introduzione mi preme rilevare subito tre cose relative al contenuto e alla forma e che sono fondative della poetica e dello stile dell’autrice.

1) Innanzitutto il forte dissidio con la madre, che l’ha privata dell’amore e quindi di quella seconda nascita, dopo la prima del parto, che consiste nel riconoscimento e nel dono della parola. La privazione subita è stata solo in parte supplita dal fatto d’essere cresciuta – come Rossana racconta – in una famiglia di donne, con in particolare due zie che le hanno dato, a lei bambina, l’amore necessario, i racconti di storie e le fantasia che accompagnano l’apprendimento della lingua e la formazione del proprio sé e della stima o disistima di sé.

Questa privazione ha determinato una costante scarsità di autostima, di tentativi di recuperare l’attenzione della madre e di ricerca di altre madri, con le quali “rinascere”. In qualche modo ciò è stato trovato nella solidarietà femminile e ancora di più nella poesia, che Rossana considera quella madre che le ha dato amore e carezze e stima di sé.

Nella sua poesia, pertanto, Rossana mostra contemporaneamente sia scarsa autostima come creatura minima, senza voce, sia una netta stima di sé nella e con la poesia, in una scissione del proprio io fra quotidianità e sogno, fra il mondo casalingo e il sublime del mondo esterno, della natura e del cosmo e del sentimento che lo coglie, fra la vita di silenzio e servitù di lei come donna e la ricerca poetica per esprimere l’altra di sé, la creatrice di parole che raccontano il mondo femminile.

2) La seconda caratteristica da notare è che la poesia è costruita con una scarsa struttura concettuale, più per immagini che per concetti, e immagini del mondo basso, terrestre e corporeo, cioè del mondo che più esprime l’universo femminile, il contatto con la quotidianità, l’emotività e la bellezza della fisicità.

3) Il terzo elemento è la rarefazione dei nessi sintattici, ridotti al minimo, e l’assenza quasi completa della punteggiatura, proprio perché il linguaggio strutturato, che dà ordine al mondo, è un linguaggio maschile. Al femminile appartiene meglio il linguaggio delle immagini e delle emozioni, quel linguaggio tutto fatto di cose concrete che si apprende nella prima infanzia, a contatto con il corpo e la parola della madre.

***

Questo mondo poetico e stilistico presenta, nell’itinerario letterario di Rossana, tre radici principali. La prima risale a Ungaretti e alla tradizione letteraria ungarettiana, che lavora sulla lingua della poesia per ridurla all’essenziale e all’evocazione tramite immagini. Quando la giovane Rossana mise insieme una prima raccolta di poesie l’inviò, per averne un giudizio, al suo professore di letteratura italiana, Mario Petrucciani (1924-2001), che negli anni Sessanta insegnava all’Università di Urbino. Petrucciani era stato allievo di Ungaretti e autore di studi importanti sul poeta; in seguito, nel 1974 si trasferì a Roma chiamato proprio a ricoprire la cattedra che era stata del suo Maestro.

Petrucciani rispose subito alla giovane poetessa e ne nacque una corrispondenza che durò un paio di decenni. Nelle sue lettere il professore incoraggia la Roberti ed esprime giudizi molto positivi, proprio a proposito della sua essenzialità di scrittura, della sua verità e del rifiuto di ogni bamboleggiamento consolatorio. Queste lettere sarebbero tutte da leggere, se ce ne fosse lo spazio. Pertanto mi limito solo allo stringato giudizio, tratto da una di esse, che Rossana ha più tardi pubblicato nella quarta di copertina della raccolta Neppure il sogno (1983) [[1]].

«La scarnificazione, l’essenzialità della scrittura, l’assenza di miraggi consolatori danno a queste poesie una risonanza profonda, un coraggio, una dolorosa emozionante verità».

La seconda radice è la meditazione della lezione di Emily Dickinson, che Rossana richiama più volte sia con citazioni in esergo sia nominandola in alcune poesie [[2]]. Fra l’altro, Rossana, per diversi anni da giovane, ha avuto, come la Dickinson, l’ossessione della morte e la tenacità di fare della poesia anche, non solo ma anche, un antidoto a questa ossessione. Pur nella diversità di tempo, di luoghi, di culture e di personalità, il richiamo alla Dickinson è evidente se si considera la mescolanza del mondo casalingo, chiuso entro le pareti di casa con il mondo delle aspirazioni culturali, sentimentali, dei sogni e delle aspettative, come si riflette nella scrittura delle due poetesse.

Rossana Roberti ha dedicato il suo ultimo libro a un’importante poetessa italiana della seconda metà del Novecento, con queste parole: «A Margherita Guidacci, che all’inizio del mio cammino nella poesia mi ha tenuta per mano» (Meraviglie del viaggio, p. 5). Ebbene, la Guidacci (1921-1992) è stata poetessa di valore, docente universitaria di letteratura inglese e americana, studiosa di Ungaretti ma soprattutto studiosa e traduttrice di autori anglosassoni e, in particolare, di Emily Dickinson.

Sulla Roberti ha scritto questo giudizio: «La poesia della Roberti è “viva”, esiste, respira (come avrebbe detto la Dickinson): e questo la distingue dal novanta per cento e più dei versi che si scrivono oggi e che sono solo elaborati travestimenti di una irrimediabile inesistenza. Non soltanto la sua tematica è viva, con quel dolore che nasce dall’infanzia da un travagliato rapporto familiare, per le ribellioni e frustrazioni in cui molte donne potrebbero riconoscersi; non soltanto è vivo il suo stile, che nasce sempre dall’interno della cosa da dire ed ha spesso immagini originali e potenti, ma c’è in più quell’indefinibile ‘residuo’ senza il quale nessun’opera può dirsi veramente viva: il ‘residuo’ che persiste a libro chiuso, che ci fa sentire con certezza di esserci imbattuti non soltanto in alcune pagine bene scritte, ma in una esperienza umana, in un’anima» [[3]].

La terza radice è l’ideologia al femminile della “lingua della madre”, teoria che circola fra i gruppi femministi e nella cultura di genere fin dagli anni Sessanta. Ne ha scritto la filosofa Adriana Cavarero, che la Roberti cita, e molte altre studiose di quegli studi detti, appunto, di genere. In poche parole e con grande approssimazione si può dire che la teoria della “lingua della madre” sostiene che il linguaggio ha origine nel rapporto fra madre e figli, che è la madre a dare la parola e a creare la comunicazione linguistica, non distaccata dalla comunicazione emozionale del contatto e dell’amore materno.

La “lingua della madre” è lingua concreta, terrestre, femminile, poetica per eccellenza e fu la lingua comune per millenni, prima che il predominio maschile trasformasse la lingua in strumento di dominio, in logos ordinatore, relegando la lingua della madre al basso mondo dell’interno della casa. In un articolo del 2012 sulla poesia e la lingua poetica Rossana Roberti scrive che «La Poesia non è un “modo” particolare di atteggiarsi della lingua della comunicazione, è un’altra lingua che risponde ad un pensiero del mondo differente da quello che è alla base del nostro comune sapere. Un pensiero del mondo diverso che noi, tuttavia, quando ci capita di incontrarlo, riconosciamo e che, talvolta, – nell’ispirazione, nell’estro – siamo capaci di riguadagnare» [[4]].

E più avanti afferma: «Questo compito di “umanizzazione” sottolinea l’importanza del corpo femminile: è dalla madre che nutre, o da chi abbraccia nella dedizione il nostro corpo indifeso che noi, fiduciosi, apprendiamo insieme il mondo, la lingua e le sue possibilità espressive. La “lingua materna” non è tuttavia identica a nessuna delle lingue che ci potrà capitare poi di parlare. È piuttosto la lingua “madre” di tutte loro, assomiglia alla fondamentale competenza linguistica di cui sono dotati gli esseri umani, una specie di “universale” – se fosse possibile indicare così l’esito strepitoso di una “singolarità umana in relazione” – felice ossimoro -; è lingua infatti di una strettissima relazione affettiva, vive di due che la usano per essere presenti l’uno all’altro e non perdersi mai di vista. […] Non è lingua che definisce, cataloga, spiega: non è lingua di dominio sugli altri né sulle cose. Per esistere non ha bisogno di un emittente, di un destinatario e di un oggetto di cui si parli, eppure è produttrice di senso»» [[5]].

Questa lingua, aggiunge altrove Rossana, «continua ad esistere nell’inconscio collettivo e ogni tanto ricompare nei modi del disagio femminile. Ma – si potrebbe suggerire – anche nella parola mistica e nella poesia» [[6]].

 

  1. La poesia edita.

La prima raccolta di poesie pubblicata è Tempodamore (1968). Risale al periodo precedente alla problematica femminista cui Rossana Roberti dedicherà la sua attenzione negli anni successivi. Anzi, è l’esaltazione dell’amore e dell’uomo, inteso come maschio. Sono invece già presenti gli altri aspetti della poetica dell’autrice marchigiana, cioè l’essenzialità della scrittura e la corporeità del linguaggio che usa parole e immagini della quotidianità.

Le poesie, pubblicate nel 1968, risalgono al 1962 e 1963 e al periodo milanese.

Il titolo, neologismo che cementa insieme tre parole, ci dice che non si tratta di una cronaca collocata nel tempo reale, in cui si svolge una storia d’amore, ma di un resoconto, in forma di poemetto costituito da frammenti lirici, di una condizione in cui il tempo era amore e quindi collocato, in qualche modo, fuori dal tempo come cronaca. Era il tempo in cui tutto era perfetto, era armonioso, era, insomma, un tempo di paradiso.

Basterà citare tre di questi frammenti senza titolo per sottolinearne la concretezza, anche erotica, ma insieme la lievità e il senso di gioia che si mescola con la malinconia dei tempi fuori del «tempodamore». E si noti anche l’eco ungarettiano del verso: «si sta come persa una casa». Nel primo «la vastità del giorno» è ricondotta al suo punto centrale, l’attesa dell’amante e l’incontro, richiamati con la concretezza dei «passi sulla scala / (i gradini sono dieci) / la porta che s’apre / (i cardini gridano)». Ma la chiusura della strofa risuona nella magia dell’incontro che si concentra nello sguardo: «e poi nella stanza / i tuoi occhi». E il frammento si conclude nell’elogio della scoperta del «come eravamo diversi / tu uomo / meravigliosamente / io donna». (Tempodamore, p. 12).

Dopo ben quindici anni Rossana Roberti pubblica la sua seconda raccolta di versi, Neppure il sogno (1983), che, nelle sue tre sezioni, intitolate «La casa», «Le parole», «Il tempo», indaga la condizione della donna fra le chiusure in casa e le fughe nel sogno. Ma «neppure il sogno» basta a riscattare la sua condizione servile e a impedire che il tempo vanifichi il suo essere, consumato interamente in un vuoto esistere quotidiano.

Da questa raccolta in poi inizia la fase che possiamo definire femminista. L’uomo, inteso come maschio, è espulso, non rientra mai nel discorso, tutto concentrato sulle problematiche del disagio femminile, sia in senso intimo e personale, sia in senso sociale e collettivo. Ma tuttavia non vi è mai concettualizzazione e teorizzazione, perché l’autrice parla per immagini essenziali e concrete, che non sono quasi mai simboli ma riferimenti al vero.

Nei versi si esprime un intenso dolore che non trova consolazione né rassegnazione, che tuttavia si espone con ironia e senza rancore. Si soffre, ma non si maledice nessuno. Il senso materno non permette di coltivare l’odio. Qui sta forse la maggiore differenza fra il femminismo poetico di Rossana e quello politico, movimentista e arrabbiato degli anni Settanta.

Rossana scrive: «Oggi ho lucidato la porta / le mie colonne d’Ercole» (p. 10), ma anche: «Mi piace / essere fuori docile / dentro tenendo / l’incandescenza / […] e offrire attenzione / mentre son gatto / che non c’è» (p. 43).

In due poesie di questa raccolta cogliamo alcuni temi tipici. La “casalinga” proclama la sua perizia ma poi aggiunge che «non ha parole / chi non ha cose da dire / (a scorno degli oppressi)» (p. 11). Allora, prendendo coscienza che la donna chiusa in casa non ha parole da dire al mondo, ecco che nel «biancore delle tele» da lei lavate coglie «qualcosa di sacrilego». L’opposizione fra il mondo chiuso della donna di casa, fatta di minute faccende quotidiane in cui riversa una perizia degna di causa maggiore, e l’impegno esterno, essere donna nel mondo e non solo in casa, si mostra in tutto il suo rigore e la sua tragicità.

Tragicità apparentemente minore perché soffocata dalle piccole cose, perché impedita di esprimersi e di gridare, perché la casa è un luogo di silenzio che nessun cosmetico, nessuna toilette, nessun segno di ripiego nella cosiddetta vanità femminile, «basterà / per contendergli la vittoria» (p. 42). Il silenzio «viene rombando» e con sé porta via il tempo e la vita, tanto che la poesia si chiude con l’invocazione: «Liberaci, Signore, dal tempo / dalle sue infinite crudeltà / di cacciatore».

Nel 1989 esce L’estraneo e l’indicibile, piccola raccolta compresa in un’antologia che unisce cinque poetesse della Casa delle Donne di Modena. Curata e prefata da Rossana Roberti, presenta poesie con un più spiccato carattere programmatico nel senso del lavoro del Gruppo di Poesia di Modena. Rossana afferma «possiamo / dire grande parlando piccolo» (p. 100), che possiamo anche intendere come sintesi del suo programma alla Dickinson.

La poesia più rappresentativa di questa silloge è, forse, quella intitolata «L’anima», che diviene qui corpo e sguardo femminile, e storia individuale, di questa donna in carne e ossa che si chiama Rossana: «Quando per me / scoppiano i semi dei giorni / l’anima mi comincia / con piccoli piedi / poi larga ai fianchi s’intonda / nei seni / è bianca nel collo / intride lo sguardo che vede / con occhi di donna / […] essere donna le sta / come a me l’irripetibile storia / a nome Rossana». (p. 98).

Devono passare ben altri quattordici anni prima di avere una nuova raccolta pubblicata. Aspra, da far soffrire il lettore, come certo ha sofferto l’autrice nel viverla e scriverla nel corso degli anni. Si tratta di Maternale: 1982-1994, uscita nel 2003. L’autrice lo chiama poemetto e in effetti è un poemetto lirico formato da singoli componimenti legati fra loro dal tema, e dal racconto che ne viene, del rapporto con la madre. Vi è la disperata ricerca di amore, di attenzione e di riconoscimento, poi l’applicazione dell’amore della figlia per la madre, non corrisposto, negli anni di cura della madre diventata invalida, trasforma la figlia in madre e la madre in figlia. Questo transfert si conclude con la morte della madre che segna la definitiva riappacificazione fra le due donne, perché segue comunque un periodo d’amore della figlia che, in quest’amore per la madre, si riconcilia prima con se stessa e poi con la stessa madre.

Lo sviluppo del rapporto è complicato e meriterebbe un approfondimento, sia dal punto di vista psicologico sia da quello metaforico, con la madre come poesia creatrice di cui Rossana, facendosi madre, si è appropriata. Tutta la trama è intessuta di questa dialettica fra l’amore che fugge ed è inseguito: «La madre che non t’amò / sole nero che non riscalda / il suo corpo che insegui / irraggiungibile ti sopravanza / irridente promessa / di tenerezze» (p. 11); «io a me do e tolgo / angelo perverso / m’annunzio beatitudine / e poi mi rido in faccia / per aver creduto» (p. 21); «io che non ti piacqui / oggi in me ti rinasco / parlo di te con voce bene dicente / la tua vita inconsapevole / porto a compimento» (p. 53).

Segue infine la morte pacificatrice: «Ora che / tutto è consumato / […] sulla storia guerriera di noi due / tacerò // […] ora mamma se vuoi / puoi prendermi in braccio» (p. 55).

Quattro anni dopo esce La misura e l’uvetta (2007), raccolta che ha vinto il premio internazionale “Elsa Buiese” 2007 che si assegna a Udine e intitolato alla poetessa friulana. Il volumetto è suddiviso in due sezioni: «L’angelo del focolare» e «Dio e le piccole misure». La tematica è la stessa già vista nelle precedenti due raccolte, ma qui appare un po’ più serena, meno legata alle vicende personali e più significativa nell’apertura sociale e collettiva, pur conservando uno stretto carattere di discorso radicato nell’esperienza “bassa” della vita delle donne.

C’è però anche un orgoglio per la propria poesia che, sebbene espresso – come al solito – con ironia, non per questo è meno sentito. Nella brevissima poesia intitolata «Caracollando» si legge, ad esempio: «Sui miei versi vado / come la santa / Madonna di San Luca / caracollando / sulle teste dei fedeli» (p. 30). La Madonna di San Luca, come è noto, è un santuario mariano vicino a Bologna.

Nella seconda sezione si parla anche di Dio, scritto quasi sempre con la minuscola. È un Dio maschile che tiene le chiavi delle piccole come delle grandi cose, per cui, se c’è, cercarlo nelle cose piccole o nelle grandi è lo stesso. È un Dio che conosce ogni trucco e vince sempre e che: «quando piango / non ha seno di madre da offrirmi / soltanto / una spalla ossuta / cosa potrò chiamare / mio libero arbitrio / che cosa / sua misericordia» (p. 43)

L’autrice appare ora più sicura di sé e della sua poesia, più serena e ironica, ma rimane intatta la protesta e la volontà di non sparire nel silenzio della vita quotidiana, chiusa fra le quattro pareti: «eppure non voglio svanire / prima d’essere stata / sebbene ciò non dirà neanche / la più chiara foto di me in posa e cipiglio» (Stare alla porta, p. 26). Il «modesto» e il «sublime» si incontrano nella vita della casalinga, che, mentre sgrana i piselli sul balcone, è rapita dalla grandezza del paesaggio del sole che tramonta sull’orizzonte del mare: «il sublime e il modesto / intimamente si conobbero / quando l’inesorabile sera / spegneva il mare / richiamava ai fornelli // […] l’universale fu tutto / nel piatto da portata / come la notte-respiro del mare // chiedo alle mani / come il cielo sia caduto sulle dita / come alle dita fu possibile / toccare il tramonto» (Approssimazione all’Universale, p. 42).

L’ultima raccolta di Rossana Roberti è del 2014 ed è intitolata Piccole meraviglie del viaggio. Il libro recupera anche poesie scritte molto tempo prima, ricongiunge idealmente e poeticamente la prima fase creativa, quella di Tempodamore, con una terza fase testimoniata dalla seconda e più ampia sezione intitolata «Piccole meraviglie del viaggio».

Infatti, nella prima sezione, che riproduce con qualche piccola variante la raccolta edita nel 1968 e dedicata all’amore, l’animo dell’autrice è sereno e vitale, pur nella malinconia di un amore che è finito. Nella seconda sezione, dopo le battaglie del periodo femminista e del combattimento con la madre, torna sereno, in una serie di poesie che sembrano delicati dipinti, e che spesso hanno anche titoli adatti a un dipinto.

In questi quadretti Rossana descrive paesaggi naturali e paesaggi urbani, città e fenomeni meteorologici, scene di vita quotidiana e di vacanze al mare, tutto con sufficiente distacco e serenità, con un sentimento che talvolta appare pascoliano. Qui sono la natura e l’arte che predominano e torna anche qualche figura maschile, come un affettuoso ricordo del poeta Sandro Penna. Ritroviamo anche la gioia del passeggiare «sulla carrozza dei versi» (p. 82).

Piccole meraviglie del viaggio, sia detto per inciso, indica un viaggio in senso fisico, di luogo in luogo, ma anche un viaggio in senso spirituale, un viaggio nelle meraviglie della vita e del mondo, come la prima sezione è un viaggio nella meraviglia dell’amore.

Le poesie seguono un itinerario geografico e alcune si riferiscono a località marchigiane, altre a Milano, a Modena e altre a Fano. Fra le milanesi vi è questo brevissimo bozzetto, una fotografia di parole: «Milano / angelo ingenuo e diligente / tutte le mattine si prova a volare / con ali / di ferro» (p. 56). Il Naviglio richiama il mare della natia Fano «e l’amore perdona / la lenta stanchezza del canale»; anche i gabbiani che volano «sul Lambro d’acqua pesante / di odore / milanese» ricordano all’autrice i gabbiani del mare, «gli allegri delle tempeste / i vocianti / dei liberi moli» (p. 58).

Fra le poesie riferite a Fano troviamo Città di mare, la quale, battuta dal fresco vento, sembra che «scivolata a mare / stia per salpare con cento / vele garrenti / ai davanzali» (p. 37). E altre ancora, dove Fano non è nominata ma parla con il suo mare e con i suoi tramonti, o dove il riferimento è esplicito, come in La chiesa di San Francesco è senza tetto: «Nell’ampia navata unica / Il cielo azzurro precipita: / […] in inverno la bora / vi fischia le sue prediche / […] in San Francesco / dimenticata dagli uomini / officia ora / dio» (p. 66)

Le ultime due poesie del volume hanno un significato simbolico e programmatico. Ne Il barone di Münchausen, il riferimento all’esagerato personaggio, vero, ma più noto come personaggio del romanzo di Rudolf Erich Raspe, richiama il valore della poesia che, quando la vita «spinge al muro», permette di evadere, di sognare, di lasciare la «vita rozza» e di passeggiare «sulla carrozza dei versi» (p. 82). Ma sebbene la poesia sia anche distacco, riscatto e consolazione, «la voglia d’eternità» resta delusa, come ci dice l’ultima poesia, intitolata Kerameikòs (Cimitero dell’antica Atene): le tombe riproducono immobile nella pietra il ritratto dei defunti, una pietra ormai corrosa, sulla quale i turisti in visita lasciano cadere acini dell’uva che vanno mangiando nella calura.

Oltre a quelle raccolte nei volumi citati, Rossana Roberti ha pubblicato altre poesie, sparse in alcune antologie. Una è dedicata a Un amico che se ne è andato, di cui non fa il nome, ma che probabilmente è Romano Romano, amicissimo di lei e di Giuseppe Bonura, morto prematuramente. Se così fosse, il suo accostamento alla riedizione di Tempodamore è doveroso. E anche nello stile questo componimento si riallaccia alle prime poesie edite da Rossana. Dell’amico ricorda la giovanile prestanza fisica, quando gareggiava come nuotatore e tuffatore, e lamenta ora la mancanza di quel corpo, di quelle braccia «da tendere / nei trionfanti tuffi / perfetti», delle gambe per correre fra gli spruzzi, degli «occhi / per ridere i matti amici» e della «voce tonda per chiamarli / ai moli». E conclude: «fu esecrabile delitto toglierti / al dolce chiacchierare / della vita / vietarti la gioia delle carezze d’amore // tu / splendido esemplare / abbattuto / come a caccia grossa».

Così la produzione poetica di Rossana Roberti, almeno quella finora edita, si chiude nel cerchio segnato da Tempodamore, cioè nel cerchio di una storia d’amore che si svolge lungo l’intera vita dei protagonisti.

BIBLIOGRAFIA

a) Raccolte di poesie
[1] Tempodamore. Modena, Cooptip, 1968. Cm 17,5×12,3; pp. 20,(4) comprese le copertine. Fascicolo in brossura a fogli sciolti legati con cordoncino annodato. [Stampa: 15 novembre 1968. Cooptip, Modena]. Edizione fuori commercio.
[2] Neppure il sogno. Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1983. Cm 21×12,6; pp. 47,(1). Brossura ed. (Quinta Generazione / poesia, 182. Collana diretta da Giampaolo Piccari). [Stampato dalla Grafica Artigiana di Castelbolognese. Supplemento della rivista di poesia Quinta Generazione, aprile 1983].
[3] Vi son frecce. Ancona, Il Lavoro Editoriale, 1989. Cm 21,4×14,2; pp. 127,(1). Brossura ed. [Aprile 1989. Tipolitografia U.T.J., Jesi (Ancona)]. Introduzione di Rossana Roberti. Contiene cinque sillogi di poesie: Protervie di Maria Luisa Bompani; Le stagioni del sogno di Milena Nicolini; Il corpo della luce di Maria Paltrinieri; L’estraneo e l’indicibile di Rossana Roberti; Un immobile andare di Lisabetta Serra.
[4] Maternale, 1992-1994. Castel Maggiore (Bologna), Book Editore, 2003. Cm 17×12,2; pp. 63,(1). Brossura ed. (Collezione di poesia «Tabula», 96. A cura di Massimo Scrignòli). [Novembre 2003. Arti Grafiche MG]. In appendice conversazione critica/autobiografica di Rossana Roberti con Merys Rizzo.
[5] La misura e l’uvetta. Udine, DARS, 2007. Cm 17,5×12,4; pp. 51,(5). Brossura ed. (Quaderni di poesia, 6). [Maggio 2007. Tipografia Pellegrini – Il cerchio]. Quaderni di DARS, Donna Arte Ricerca Sperimentazione, Udine.
[6] Meraviglie del viaggio. Tempodamore – Piccole meraviglie del viaggio. Castelfranco Emilia (Modena), Edizioni Rossopietra, 2014. Cm 18×12,6; pp. 87,(1). Brossura ed. (Collana Emily Dickinson). [Stampa: Ottobre 2014. Gruppo Sigem, Modena].
b) Narrativa
[7] Otto storie per un bambino di bronzo. Testo di Rossana Roberti. Illustrazioni di Silvano Scolari. Veste grafica di Miria Bursi. Modena, Edizioni Teic, 1984. Cm 20,9×14; pp. 79,(3). Ill. Brossura ed. [Dicembre 1984. Stampa: Tipi della TEIC, Modena]. Racconti per ragazzi.
c) Antologia in eBook
[8] Una lunga avventura. eBook da Poesia Condivisa, pp. 28 con la copertina. Edizione gratuita in PDF di: www.LaRecherche.it / e www.Poesia2punto0.com. Prefazione di Merys Rizzo. Contiene un’antologia di 15 poesie già edite in: «La misura e l’uvetta» (3), «Tempodamore» (2), «Neppure il sogno» (4), «L’estraneo e l’indicibile» (2), «Maternale» (4). Con nota biografica sull’autrice.
d) Poesie in antologie e sparse
[9] Cuore di preda. Poesie contro la violenza alle donne. A cura di Loredana Magazzeni. Immagini di Fabiola Ledda. Piateda (Sondrio), Edizioni CFR, 2012. Cm 21×15; pp. 158,(2). Ill. Brossura ed. (Collana Epos n. 14). [Novembre 2012. Universal Book srl, Rende (Cosenza)]. Illustrato con dieci tavv. di fotografie di Fabiola Ledda. Introduzione di Loredana Magazzeni. Comprende poesie di 85 autrici, fra cui le marchigiane Leila Falà (di Ancona), Anna Elisa De Gregorio (di Ancona), Alessandra Carnaroli (di Fano), Germana Duca (di Ancona), Rossana Roberti (di Fano, a p. 103, poesia «Per una ragazza uccisa nella vicina Africa»), Lella De Marchi (di Pesaro).
[10] Guida celeste di glorie terrestri. Voci di donne fra Secchia e Panaro. Modena, Libro autoprodotto senza indicazioni editoriali, 2014. Cm 21×15; pp. 79,(1). Brossura ed. [Stampa: agosto 2014. Gruppo Sigem, Modena]. Antologia di poesie e due prose dedicate a luoghi di Modena. Autori: Maria Luisa Bompani, Vilde Mailli, Lisabetta Serra, Maria Chiara Papazzoni, Rossana Roberti (p. 21 e 39-44, con sette poesie), Milena Nicolini, Lucia Fornieri, Giovanna Gentilini, Mara Paltrinieri, Giulia Squadrini, Cleide.
[11] Voci accanto. Antologia di poeti modenesi. Modena, Edizioni Rossopietra, 2015. Cm 21×15; pp. 204,(4). Brossura ed. (collana Emily Dickinson). [Stampa: maggio 2015. Gruppo Sigem, Modena]. Comprende poesie di 32 autori, fra i quali Rossana Roberti (pp. 172-177: nota biografica e sei poesie).
[12] Altre antologie che non ho avuto modo di consultare, fra le quali: Tadizioni e traduzioni, antologia del Premio San Vitale, Bologna, 2006, con una poesia di Rossana Roberti.
[13] Poesie sparse in pubblicazioni periodiche, poi riedite, a volte con modifiche, nelle raccolte citate. Ad esempio: Per l’azzurro dell’aria, poesia, in «Marchigiani & Umbri». Periodico dell’Associazione Marchigiani & Umbri di Milano e Lombardia, anno 3, n. 3-4, dicembre 2005, p. 6. Poi raccolta, con titolo La nave di Treia e varianti nel testo, nel volume Meraviglie del viaggio, p. 33.
e) Alcuni scritti e note critiche in prosa, sparsi in riviste e in siti Web.
f) Scritti critici su Rossana Roberti
Su Rossana Roberti hanno scritto Mario Petrucciani, Roberto Baruffini, Giuseppe Bonura, Enrico Castrovilli, Alex De Nando, Franco Di Carlo, Gianni Di Fusco, Margherita Guidacci, Giancarlo Pandini, Merys Rizzo, Luciano Aguzzi.

NOTE

[1] Ringrazio Rossana Roberti di avermi permesse di utilizzare alcune delle lettere di Petrucciani a lei dirette, che mi ha fornito in fotocopia. Il giudizio utilizzato in quarta di copertina è tratto da una lettera del primo dicembre 1982, il cui testo integrale dice: «[…] Le sue poesie non sono più “dure” delle rime: più dura (“la rugosa realtà”) è la vita, cioè, come Lei dice, la “sgradevolezza della materia”. Ma ora la scarnificazione, l’essenzialità della scrittura, l’assenza di miraggi consolatori, il “faccia a faccia” (sono ancora Sue parole) con il nemico, danno a queste poesie – ferma restando una certa linea di continuità di tono – una risonanza profonda, un coraggio, una dolorosa emozionante verità che le prime non avevano».

[2] Ad esempio, nella raccolta Neppure in sogno (1983), mette in esergo i seguenti versi della Dickinson: «Per fare un prato occorrono un trifoglio ed un’ape / Un trifoglio ed un’ape / E il sogno. / Il sogno può bastare / Se le api sono poche». In un intervento critico del 2015 si incontra la seguente affermazione: «Emily Dickinson ha usato la lingua della casa, del giardino e dell’orto per interrogare l’eternità e l’assoluto» (R, Roberti, Scrittura, lingua, pensiero della poesia, in https://cartesensibili.wordpress.com/2015/02/28/interventi-sulla-scrittura-delle-donne-rossana-roberti-scrittura-lingua-pensiero-della-poesia/.

[3] Ripreso da una rassegna di giudizi critici su Rossana Roberti pubblicata nella rivista «Quinta Generazione», luglio-agosto 1985, pp. 76-83. Il brano di Guidacci è a p. 82.

[4] Cfr. R. Roberti, La “lingua materna” e la poesia, in https://cartesensibili.wordpress.com/ 2012/02/06/rossana-roberti-la-lingua-materna-e-la-poesia/.

[5] Ibidem.

[6] Testo inedito svolto oralmente come introduzione a una conferenza di Giorgio Galli, tenuta a Modena (sabato 14 gennaio 2006: Dalle amazzoni alle streghe – Il disagio femminile e le risposte istituzionali del predominio politico maschile).

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